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La verace cucina napoletana di Nennella

La verace cucina napoletana di Nennella

Autore: Vera De Luca/giovedì 3 gennaio 2013/Categorie: Territori , Campania, Info e News, Gusto

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Napoli è bella perché è varia. Ogni quartiere ha un proprio nome, ma, quando si vuole indicare il quartiere  "Montecalvario" di Napoli, è sufficiente dire "I Quartieri spagnoli”, che risalgono alla dominazione spagnola partenopea con il viceré Don Pedro di Toledo, che volle la realizzazione del rione per ospitare i suoi soldati.    

A lui si devono una serie di interventi come la costruzione di molte strade, citiamo una per tutte, la splendida via dello shopping, Via Toledo. I Quartieri Spagnoli che rappresentano il centro storico di Napoli, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, sono oggi al centro dell’attenzione dell' amministrazione comunale che si è impegnata a restituire alle storiche strade la dignità che esse meritano. Ne è un esempio la seconda uscita “Montecalvario”, sui quartieri spagnoli, della Stazione Toledo della Linea I della Metropolitana a cui si sta lavorando e che sarà pronta a febbraio 2013. La fermata Toledo, che entra a far parte del circuito delle “Stazioni dell’Arte”, è stata realizzata dalla MN Metropolitana di Napoli per conto del Comune su progetto dell’architetto catalano Oscar Tousquets Blanca. Negli interni spiccano le opere di William Kendridge, Bob Wilson e Achille Cevoli, mentre all’esterno, tra via Diaz e via Toledo, è stata da poco sistemata la scultura equestre, “Il Cavaliere di Toledo”, anche di Kentridge, alta circa 6 metri, che si ispira all'epopea donchisciottesca.  

Un dedalo di vicoli e vicoletti si dipanano sui quartieri ricchi di negozietti dove si lavorano borse, cinture, scarpe, e tanti locali adibiti a trattorie per gustare soli o in compagnia specialità napoletane a prezzo competitivo. Tra i piatti tipici tutti-rigorosamente-napoletani da non dimenticare la zuppa di cozze, gli spaghetti con pomodoro fresco e basilico, il baccalà fritto e la famosissima pastiera di grano. E come non fare una sosta golosa da “Nennella”, mitica trattoria del quartiere “Montecalvario”, dove si mangia bene e soprattutto lo si fa in allegria. La qualità/prezzo è vincente qui da Nennella dove si è affidati alla cura di Mariano, Ciro e Salvatore Vitiello, allietati dalla cortesia-tutta-casareccia dei camerieri che affabilmente scherzano con i clienti. La storia della trattoria parte proprio nell’immediato dopoguerra, quando Elisabetta Vitiello, più nota come “Nennella”, la nonna degli attuali titolari, aprì un piccolo ristoro sui quartieri, dove preparava anche “ ‘a marenna ” di mezzogiorno a chi sostava in loco, arricchendosi poi di alcuni piatti caldi:  la trippa e la pasta e fagioli.

Dai dodici posti di un tempo oggi la trattoria ne conta 150. Nel corso degli anni si è spostata a Vicolo Lungo Teatro Nuovo 103, dando lavoro a tutta la famiglia e a tanti giovani del luogo. Attualmente c’è una nuova Nennella, che è Rita, la moglie di Mariano, entrambi impegnati ai fornelli. Nelle sale tutti gli altri fratelli: Ciro, Gennaro, Geltrude e Salvatore. Quest’ultimo all’esterno con voce stentorea attribuisce alle persone che sono in fila un nome da lui creato al momento che poi riporta su un quadernetto.  Guai a dire  «Salvato’ damme ‘nu nummero», vi verrà risposto «cà nun simme all’ASL!». A seconda il numero di persone in fila “dinto o vic” in attesa che si liberi un tavolo ecco pronto il soprannome per il capogruppo della combriccola dei commensali, da “amico 2” a “ luongo”, a “cappuott chiar”, a “cappiello ca’ falda”. E per chi, impaziente, stuzzicato dai profumi della cucina di donna Rita, ecco pronta la battuta sagace di Sasà «cinque minuti e ve lo metto a tutti dentro…» il tavolo of course !

 Ne è passata di acqua sotto i ponti dai 63 anni ben portati della vecchia “Nennella” che oggi può contare su tre sale interne, beneficiando anche di uno spazio all’aperto coperto e riscaldato in pieno vicolo con tanto di basoli. Il menù, descritto a voce dai simpatici camerieri, cambia sempre per la gioia dei turisti, dei nostalgici napoletani e degli habitué ( durante i giorni feriali, di mattina, ad affollare le sale ci sono gli impiegati delle banche e degli uffici limitrofi), che, naturalmente, sono già noti al banditore-Salvatore. L’antipasto è a base di panzarotti di patate, supplì di riso, rigorosamente fatti alla vecchia maniera, olive, verdure grigliate, salame napoletano.

Per i primi l’offerta cambia con la stagione: “pasta e patane” con la provola “azzeccusa”, che possiamo ben dire è il piatto forte anche perché è il più richiesto. Ma non scherzano per il gusto appetitoso: “pasta e fasul ” e zuppa di ceci ovviamente dint ‘o pignatiell, la pasta e lenticchie, la pasta e piselli, spaghetti olive e capperi, la minestra maritata, i vermicelli con le vongole veraci cioè con le curnacielle. Anche i palati più esigenti troveranno alla Trattoria da Nennella pan per i loro denti dalla pasta al forno, al gattò di patate, alla lasagna napoletana, alla genovese (che è nata a Napoli) e all’immancabile ‘rraù che, secondo il grande Eduardo nella commedia “Sabato, Domenica e Lunedì” del ‘59, deve pippiare nel tegame di coccio.  La lista dei secondi è altrettanto ricca e saporita anche se non si disdegna il fare il “bis” o prendere un “secondo” primo piatto.

L’intero menù andrà ordinato appena ci si siede per evitare che dei bocconi più prelibati rimanga solo il loro profumo. Ed ecco i camerieri guizzare come saette  con piatti ricolmi di alici indorate e fritte, pizzette di baccalà, pollo arrosto, “tracchiolelle” di maiale arrostite, polpette fritte o al sugo, polpette di ricotta, mozzarella “in carrozza”. Dopo essersi alzati più che sazi da tavola il caffè è di rigore, ma è consigliabile prenderlo altrove proprio nello spirito di “lasciare il posto al prossimo cliente”. Scendendo dai vicoli  proprio in via Toledo, anche nota come via Roma, i bar non mancheranno di accogliervi per una “tazzulella fumante da gustare con le tre famose C: “comme c… coce”, accompagnata magari da una bella sfugliatella riccia o frolla della Pasticceria Fiore o di quella, più antica, di Pintauro. C’è qualcosa di più nella bravura dei camerieri, il gestire le lunghe file di attesa facendo mangiare tutti bene e velocemente senza però scontentare nessuno.

Alzando gli occhi in alto c’ è poi nu’ panare che viene abbassato a richiesta del cliente che, per dare un concreto segno della propria soddisfazione, a panza china, vuole lasciare una mancia. Anche in questo caso il rito dell’ abbassare il cestino è tutto “nennelliano”… il paniere scende per accogliere la regalia ed i guagliuni di sala, tutti in coro gridano un sentito “Grazieee ! ”.  E gli avventori dicono tra loro: «Avimmo magnato, avimmo vippeto e ‘nc’è trasuto ‘o riesto».  La pancia è piena e la tasca? anche… con poco più di dieci euro si può mangiare a sazietà. E scusate se è poco!

Vera De Luca
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