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All’Azienda Sibilla di Bacoli si brinda in nome di Sant’Antuono

All’Azienda Sibilla di Bacoli si brinda in nome di Sant’Antuono

Autore: Vera De Luca/martedì 15 gennaio 2013/Categorie: Territori , Campania, Produttori

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I “fuocarazzi” secondo un’antica tradizione vengono accesi il 17 gennaio nelle campagne dell’hinterland partenopeo ed è subito festa. Per i contadini i falò di Sant’Antuono, patrono di quanti lavorano con il fuoco, avevano una funzione purificatrice e fecondatrice in vista dell’imminente primavera.

Quando le fiamme dei fuochi si levano nel buio della sera creando suggestivi giochi di scintille incandescenti che danzano nell’aria, almeno per una notte il tempo si ferma in occasione della ricorrenza di Sant'Antonio Abate, protettore degli animali e padre del monachesimo cristiano. Il Santo nacque a Coma, l’odierna Qemanel Arous, nel Medio Egitto, verso il 250-251 e morì ultracentenario sul monte Qolzoum, vicino al Mar Rosso.

L'accensione dei fuochi unisce motivazioni sacre ed aspetti profani e richiama antiche consuetudini medievali rinnovate nel Seicento, secolo in cui convivevano, da un lato, l'immensa miseria della plebe e dall'altro lo sfarzo della nobiltà e della corte vicereale di Napoli. Era consuetudine in tutto il Regno, il 17 del primo mese dell’anno di distribuire il "Pane di Sant'Antuono", elemento magico secondo la diceria popolare.  

La tradizione del “Cippo” prende corpo nel 1500, quando per esorcizzare la diffusione della peste, i cittadini del borgo di S. Antonio Abate decisero di ungere di “sugna” tutti gli appestati, per contenere il male. Dopo l’unzione si accese un grande fuoco per bruciare tutto ciò che portava il seme del morbo, ma la fiamma non ardeva, fu allora che venne chiesto l’ aiuto del Santo. La sua  immagine fu trasportata a spalla accompagnata dalle “paranze”, che danzarono al ritmo della tammorra fin al luogo del fuoco e qui le fiamme inghiottirono il male. Anche giovedì si ripeterà la tradizione centenaria e verrà prelevata l’icona dalla chiesa parrocchiale per essere trasportata, accompagnata dalle “paranze” musicali, fino al luogo del “Cippo”. Anche i fuochi di Nusco nell’avellinese si ricollegano alla peste.

Con l'esplosione scoppiettante dei falò vengono meno le paure, le ansie, i timori e viene fuori la gioia dell'attaccamento alla vita, la voglia di dimenticare nel vino e nelle grandi abbuffate le miserie, gli stenti... "Sant'Antuonu: maschere e suoni" è anche l'anteprima del "Carnevale in Irpinia", con le sue sfilate in maschera, i pulcinella e le sue strofe argute, le sue espressioni caustiche ed irriverenti che esorcizzano i digiuni della quaresima, la povertà, le lunghe e dure fatiche suscitando una sana risata.  Rivive così " La Riavulata" laddove “Maschere” vestite di rosso di ispirazione infernale agitano rumorosamente lunghi catenacci. L'anima e la cultura di un'intera comunità oggi vuole scoprire momenti di aggregazione in queste tradizioni locali, ricche di fascino e che permettono di ritrovare la cultura contadina ed artigiana di un tempo. Una serata veramente spettacolare è organizzata giovedì a Bacoli dall’Azienda “I vini della Sibilla” della famiglia Di Meo (www.sibillavini.it), che con Luigi e Tina da qualche anno porta avanti la “Festa” che  culmina con l’accensione dei falò dopo aver degustato i prodotti locali (zuppa di cicerchie e salsicce non mancheranno sulle tavole dei fortunati amici di Tina e Luigi), accompagnati dagli ottimi vini dell’azienda (la Falanghina ed il Piedirosso Campi Flegrei doc). La Campania felix, da sempre terra di grande vocazione vitivinicola, è riuscita a superare le difficoltà del passato e riconquistare la posizione di preminenza nel mondo enologico. La Sibilla sas di Di Meo V&C Società Agricola, sita a Bacoli a Via Ottaviano Augusto 19, è un’azienda che prende il nome dalla sacerdotessa di Apollo operando da più di cinque generazioni con particolare cura ed attenzione alla gestione agronomica.

La mutevole condizione della terra dei Campi Flegrei ha consentito di preservare un patrimonio vitivinicolo unico, immune dalla fillossera ed ancora oggi coltivato su piede franco e lavorato esclusivamente a mano. Nel vigneto Cuna Delago, che si affaccia sullo specchio d’acqua del lago del Fusaro, Luigi e Tina, coadiuvati dai figli Vincenzo e Salvatore, producono il top bianco da antichi vitigni di falanghina che s’inerpicano sui terrazzamenti delle colline di Baia.  Naturalmente la tradizione dei fuocarazzi si rinnova anche in altre regioni d’Italia anche se con date differenti. Nel nord-est, i falò brillano il 6 gennaio per l'Epifania. Sulla cima del falò è collocata una strega di paglia vestita con abiti vecchi. L’usanza ha probabilmente origini pre-cristiane e simboleggia l'anno vecchio che è bruciato per poi cedere il passo a quello nuovo. Nel nord-ovest, ad esempio in Val Trebbia, si festeggia ancora oggi il rito serale del falò con la Festa di San Giuseppe, che segna il passaggio dall'inverno alla primavera.

Con il falò viene anche bruciato un fantoccio, la "vecchia", che simboleggia l'inverno. Il rito risale all'antico popolo dei liguri, in occasione del particolare momento astronomico dell'equinozio, poi la tradizione pagana si fuse con quella cristiana. Oggigiorno i falò ardono ancora nei centri cittadini con sagre e canti. La tradizione è tuttora viva in alcuni parchi pubblici di Milano: nel Parco delle Cave e in quello denominato “Boscoincittà” si accompagna abitualmente a canti popolari, danze e alla degustazione di vin brulé. Nel Salento i falò sono denominati “focare” e si promuovono in quasi tutti i paesi (famoso è quello di Novoli) in coincidenza con la festa di Sant'Antonio Abate di gennaio.

Per la costruzione si usano gli scarti della potatura della vigna. In Garfagnana, più precisamente nel comune di Minucciano poco distante da Lucca, i falò vengono accesi la sera di Natale, quando le campane suonano l' "Ave Maria". I falò alti anche oltre 12 metri, costruiti intrecciando rami di ginepro a un palo di castagno, sono prevalentemente eretti in punti molto alti per dominare le vallate. In Abruzzo si rinnova la “Festa delle Farchie” nel comune di Fara Filiorum Petri in cui si bruciano dei grossi fasci di canne legati con rami di salice rosso

 

Vera De Luca

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