Quanto cibo buttiamo davvero? I numeri italiani e il confronto con l’Europa

Quanto cibo buttiamo davvero? I numeri italiani e il confronto con l’Europa - gustolandia.it

Lorenzo Fogli

Settembre 27, 2025

Il rapporto Waste Watcher 2025 fotografa i progressi compiuti dall’Italia, ma i numeri restano lontani dagli obiettivi fissati dall’Agenda Onu 2030.

A dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030 e nove dall’entrata in vigore della legge Gadda, l’Italia registra passi avanti nella riduzione dello spreco alimentare, ma resta indietro rispetto ad altri Paesi europei come Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi. È quanto emerge dal rapporto Waste Watcher International 2025, presentato a Roma in occasione della campagna Spreco Zero e della 6ª Giornata mondiale di consapevolezza delle perdite e sprechi alimentari (29 settembre).

Dal 2015 lo spreco settimanale medio per persona è sceso da 650 a 555,8 grammi. Una riduzione di 95 grammi, che rappresenta un miglioramento ma non abbastanza per colmare il divario con gli altri Paesi europei. Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi si attestano infatti tra i 459 e i 512 grammi settimanali.

L’Italia e la sfida dell’Agenda 2030

Il traguardo fissato dalle Nazioni Unite prevede di ridurre lo spreco a 369,7 grammi a settimana per persona. L’Italia è ancora distante, con valori che superano ampiamente la soglia indicata. L’impatto dello spreco alimentare non riguarda soltanto l’economia familiare, ma tocca anche l’ambiente: il cibo buttato genera circa il 10% delle emissioni globali di gas serra.

Il rapporto sottolinea anche le differenze territoriali. Al Centro si registrano i dati più bassi con 490,6 grammi a settimana, segue il Nord con 515,2 grammi, mentre il Sud rimane fanalino di coda con 628,6 grammi, ben 140 sopra la media nazionale. Le abitudini sociali influiscono in modo evidente: le famiglie con figli sprecano il 17% in meno rispetto a quelle senza, mentre nei grandi Comuni lo spreco scende del 9%.

A livello globale il problema assume proporzioni ancora più ampie: ogni anno si sprecano 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, pari a un terzo della produzione mondiale. Il costo ambientale è enorme: le emissioni generate dallo spreco sono cinque volte superiori a quelle dell’aviazione e il fenomeno “brucia” il 28% dei terreni agricoli, circa 1,4 miliardi di ettari coltivati per alimenti che non arriveranno mai sulle tavole.

Cosa finisce più spesso nel cestino e i segnali di cambiamento

La classifica dei prodotti più sprecati in Italia mostra che al primo posto c’è la frutta fresca con 22,9 grammi a settimana, seguita da verdura (21,5 g) e pane (19,5 g). A ruota compaiono l’insalata (18,4 g) e cipolle e tuberi (16,9 g). Sono alimenti centrali nella dieta mediterranea, ma spesso acquistati in eccesso rispetto al reale consumo, con conseguente deperimento.

Il contesto internazionale, segnato da guerre, crisi climatiche e tensioni commerciali, incide sulle scelte degli italiani: il 37% preferisce prodotti made in Italy, ritenuti più sicuri e sostenibili. Due persone su tre dichiarano di mantenere alta l’attenzione verso l’ambiente e la metà degli intervistati afferma di controllare con più consapevolezza l’impatto ambientale dei prodotti acquistati.

Un ruolo importante lo giocano i nativi digitali, considerati il motore del cambiamento. Secondo Waste Watcher, i giovani mostrano maggiore sensibilità: +10% nel riutilizzo degli avanzi, +5% nella condivisione del cibo, +2% nell’acquisto di frutta e verdura di stagione e +2% di attenzione all’impatto ambientale. Un segnale positivo, anche se non sufficiente a invertire la tendenza nazionale.

Foto di Lorenzo Fogli